Padova: sentenza sull’obbligo vaccinale

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La causa era stata promossa da un’operatrice del settore sanitario

Si è parlato molto sui media della recente sentenza del Tribunale di Padova. Un’operatrice del settore sanitario ha impugnato il provvedimento con cui il suo datore di lavoro la sospendeva dalle sue mansioni e la privava del sostentamento per l’inosservanza dell’obbligo vaccinale richiesto per legge. Ha richiesto di essere reintegrata ,anche con mansioni inferiori, sottoponendosi ai tamponi. Scorriamo la sentenza analizzando le motivazioni giuridiche della decisione (di seguito è disponibile il testo integrale scaricabile in formato .PDF fonte: t.me/renateholzeisen).

Il tribunale ha ricostruito la realtà dei fatti su contagio e tutela della salute collettiva rilevando che non è infondato affermare che le norme che regolano l’obbligo vaccinale sono contro la costituzione: risultano in contrasto con l’art 3 sotto il profilo della ragionevolezza. Secondo l’articolo 32 della Costituzione la libertà di autodeterminazione delle cure (di scegliere come essere curati) può essere limitata solo per tutelare la salute collettiva. Pertanto l’obbligo di vaccinazione è giustificato solo se i preparati iniettati evitassero del tutto il contagio da Covid-19. Ma questi farmaci non evitano il contagio degli utenti, nella sentenza viene spiegato con gli stessi dati tecnici dell’IIS che anche chi ha più dosi può comunque contagiare. Proprio in questo la corte del lavoro rileva la questione di ragionevolezza, provando che testare con i tamponi ogni 48 ore previene il contagio meglio che limitare l’accesso ai soli dipendenti vaccinati senza testarli (il rischio che il dipendente si contagi subito dopo il tampone e possa infettare, è comunque inferiore a quello di contagiarsi da un vaccinato non testato). In base a queste realtà scientifiche il Tribunale ha pertanto rilevato che l’obbligo vaccinale è “irragionevole” non rientrando nei principi dell’art 3 della costituzione e crea uno sbilanciamento tra i diritti individuali della lavoratrice e quelli di tutela della salute pubblica.

Le norme che sanciscono questo obbligo sono in contrasto anche con il principio di Proporzionalità (art. 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea). La giurisprudenza in merito fissa tre condizioni a questo principio:

-attitudine, cioè quanto una misura è idonea alla finalità prefissata (in questo caso l’obbligo vaccinale non tutela il pubblico dal contagio, per gli stessi motivi descritti al paragrafo precedente)

-necessità, cioè che il provvedimento arrechi il minor danno possibile alle due parti in causa (qui il peso del provvedimento è sulle spalle della lavoratrice, sospesa dalla mansione e senza stipendio)

-proporzionalità in senso stretto, significa che il sacrificio imposto deve essere ragionevolmente esigibile (la sospensione dei mezzi di sostentamento senza possibilità di una via intermedia che potrebbe essere una ricollocazione ad una mansione diversa con un test ogni due giorni non è ragionevolmente esigibile).

Oltre ad andare in contrasto con il principio di ragionevolezza (art.3 Costituzione), oltre a violare il principio di proporzionalità CEDU, l’obbligo vaccinale va contro l’art 32 della Costituzione. Infatti lo stesso fatto di non evitare il contagio, fa concludere al tribunale che le terapie somministrate con le tre dosi non sono una misura capace di garantire la salute della collettività. La stessa Corte Costituzionale, in pronunciamenti precedenti, ha stabilito che eventuali obblighi devono migliorare la salute del singolo, ed allo stesso tempo della collettività. Nel caso delle terapie non è garantita l’impossibilità di contagiarsi (nessun vantaggio per il singolo e neanche per la collettività), ma i rischi di reazione avversa ci sono e sono in capo al singolo. Il tribunale del lavoro indica che non è sufficiente a derogare il diritto all’autodeterminazione terapeutica (la libertà di scegliere come curarsi) neanche il fatto che questi preparati riducano i ricoveri ospedalieri, seppure in un contesto di scarsità di risorse come quello in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale negli ultimi anni.

Emerge poi dalla sentenza una disparità di trattamento (in contrasto con l’art 3 della Costituzione) dei rimansionamenti di chi non si è sottoposto alle punture. Infatti il ripescaggio è indicato per i dipendenti del comparto scolastico e sembra essere escluso per i dipendenti del comparto sanitario.

Al di là di quanto dispone la sentenza per il caso singolo è interessante rilevare che dove è rilevata la non manifesta infondatezza di questione costituzionale (Art 3 per il principio di ragionevolezza poiché l’obbligo vaccinale non evita i contagi e per disparità di trattamento nei ripescaggi; Art.32 per il bilanciamento tra autodeterminazione nella scelta delle cure e tutela della salute collettiva) la questione può approdare in corte costituzionale. Solo una vittoria in questa sede (cui nel nostro ordinamento possono ricorrere i giudici che rilevano che una legge è in contrasto con la Costituzione) può portare all’abbattimento delle restrizioni. Il consiglio e di affidarsi agli avvocati, che vi possono aiutare in queste controversie. La legge può tutelare i vostri diritti e in caso il giudice ponga questione di costituzionalità e la Consulta accolga il ricorso il beneficio sarà anche collettivo.

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