NODO SCORSOIO 30 settembre 2022

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LA VOCE DI UN IRRIVERENTE

ATTACCO AL NORD STREAM. L’ascesa di un nuovo Führer?

I sabotaggi alle condutture dei due gasdotti Nord Stream, nel mar Baltico, sono stati commessi nella zona commerciale ed economica di Danimarca e Svezia “paesi incentrati sulla NATO” come ha ricordato la rappresentante ufficiale del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, che ha anche specificato come l’attacco sia stato registrato in una zona sotto il pieno controllo dall’intelligence americana.
La Russia ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere degli attacchi ai gasdotti, che avrà luogo proprio oggi (venerdì 30 settembre) in cui si ipotizza un casus belli.
Ma chi ha sabotato entrambi i Nord Stream?

Cominciamo da chi avrebbe avuto l’interesse a farlo e cosa è rimasto in funzione. Il flusso del gas russo continua attraverso i gasdotti controllati da Ucraina e Polonia, che ovviamente trarranno notevoli benefici da questa esclusività. E tanto l’Ucraina, quanto la Polonia, insieme agli Stati Uniti, hanno immediatamente accusato i russi dell’accaduto.

In sostanza si sono discolpati prima che qualcuno li accusasse, il che è quanto meno sospetto, rammentando cosa dicevano i latini (excusatio non petita, accusatio manifesta).

Cominciamo da Washington, che si è ripromessa di garantire la sicurezza energetica dell’Europa, ovviamente con enorme profitto, visto che potrà vendere il gas liquefatto a prezzi molto elevati. A febbraio Biden e la Nuland avevano minacciato di fermare Nord Stream, nell’ipotesi in cui la Russia avesse invaso l’Ucraina.

Detto fatto? Ma perché proprio Nord Stream?

Distanziare la Germania dalla Russia, nemica ancestrale delle élite, era sicuramente l’obiettivo primario, dopo che la Merkel aveva connesso i suoi interessi al gas naturale russo, la cui economicità avrebbe consolidato la grande industria tedesca, competitiva per costi e qualità. 

Insomma, se al tempo delle due grandi guerre, le élite avevano investito sulla Germania nazista per colonizzare l’Europa, questa alleanza finito col disturbare i loro sonni. La Germania aveva perso già due guerre ed era meglio puntare su un altro socio. Così scelsero in Zelensky il nuovo antagonista: e le cose sarebbero andate bene se Vladimir Putin non avesse anticipato le loro mosse. Fermando Nord Stream, l’economia tedesca sarebbe caduta in ginocchio e avrebbe delocalizzato la produzione oltreoceano, dove l’energia costa meno, tirandosi appresso tutta l’Europa.  Questo sta già accadendo.

Parliamo ora della Polonia.

Dmitry Peskov, portavoce del Presidente Russo Vladimir Putin, ha sottolineato la particolare euforia con cui i polacchi hanno accolto la notizia del sabotaggio, mentre, poche ore dopo l’accaduto, festeggiavano l’inaugurazione del loro nuovo gasdotto, il Baltic Pipe, da tempo definito un’alternativa al Nord Stream. Che strana coincidenza, vero?

Ma non è tutto: sul finire di agosto, il presidente polacco Andrzej Duda, in visita a Kiev, parlando del cambio auspicabile della politica in Occidente, aveva dichiarato implicante non solo la sospensione di Nord Stream 2, ma la sua “liquidazione”, lo smantellamento completo del gasdotto. Molto eloquente direi.

Quanto all’Ucraina, le motivazioni sono abbastanza chiare, visto che un gasdotto russo la attraversa e potrà costituire una leva interessante sull’Europa.

Il sabotaggio del gasdotto sarebbe convenuto anche agli inglesi, russofobi da sempre, con un movente esacerbato da scenari economici inquietanti e la sterlina che crolla. 

Parliamo invece dell’infondatezza delle accuse a carico della Russia, amplificate dalle bocche fraudolente del mainstream. Questi subumani sostengono che la Russia, pur di non pagare penali sui contratti a lunga scadenza, avrebbe sabotato i gasdotti di sua proprietà, da cui guadagnava un mare di soldi, rinunciando peraltro alla leva importante che poteva ancora essere utilizzata contro le sanzioni occidentali. E sono talmente idioti, quelli del mainstream, da escludere la maniera più semplice farlo: chiudere i rubinetti.

Parlando dei danni che invece la Russia ha subito, di cui il primo è riferibile agli impianti, comunque assicurati da compagnie europee per un importo complessivo di 17 miliardi, ci vorrà del tempo per calcolare l’entità, ma potrebbe essere spropositato a seconda dei mezzi richiesti. Se ad esempio occorresse una nave posatubi, il costo crescerebbe considerevolmente.
Un altro danno mica da poco è relativo alle centinaia di milioni di metri cubi di “gas di processo” presente nei tubi (lunghi 1.200 chilometri) che sono andati perduti, con un danno ambientale incalcolabile. Poi c’è la rottura degli accordi di fornitura, per i quali Gazprom potrebbe anche dover pagare delle penali, ma non sappiamo per ora cosa prevedano i contratti per questo tipo di incidenti, né se questi includano l’obbligo del fornitore di utilizzare altre vie, più costose, per la consegna. Pensare che sia stata la Russia, ora che i depositi di gas in Europa sono pieni, è una vera sciocchezza. La Russia non ci guadagna niente, ma l’esplosione dei condotti influirà sui prezzi, a discapito della popolazione europea e a vantaggio degli speculatori. Infatti i prezzi del mercato spot sono tornati a salire e incideranno sulle tasche delle imprese e dei cittadini europei. C’è pure rischio che Nord Stream non torni mai più a funzionare.

Come dicevo in apertura, le forniture di gas all’Europa passano attraverso il territorio dell’Ucraina e della Polonia, però ce n’è anche uno che attraverso la Turchia, il Turkish Stream, che la UE ha da ieri – “chissà come mai” – sottoposto a restrizioni (ma ci tornerò tra poco).

Riguardo al sabotaggio, non poteva avvenire senza l’assistenza attiva di almeno uno dei paesi con accesso alla rotta di Nord Stream, da scegliere tra la solita Polonia, che è nell’elenco dei principali sospettati, oppure la Danimarca e la Svezia, che hanno un sacco di apparecchiature di monitoraggio laggiù, dove nessuno potrebbe accedere senza essere notato.

Nei giorni tra il 5 e il 17 giugno, secondo quanto affermato dal vice ammiraglio Gene Black, comandante della sesta flotta statunitense d’attacco e di supporto della Nato,  l’Alleanza ha preso il controllo di tutta le aree critiche del Mar Baltico, con l’aiuto di nuove tecnologie, sperimentate, neanche a farlo a posta, nelle acque di Bornholm, in Danimarca, dove il sottotenente Chris Bianchi aveva installato delle mine, che avrebbero dovuto essere rimosse, esattamente dai luoghi in cui si sono verificate le esplosioni. Che strana coincidenza…

Quei dispositivi avrebbero potuto essere attivati a distanza, per rappresaglia a una circostanza particolare, per esempio se le repubbliche del DPR, LPR e le regioni liberate di Zaporozhye e Kherson un giorno si fossero sognate di indire un referendum per l’annessione alla Russia.

La profondità nei pressi dell’isola di Bornholm, varia dai 50 agli 80 metri, quindi potrebbe essere stata usata una mina sottomarina, oppure veicoli subacquei senza pilota, una modalità difficile da prevenire o individuare, soprattutto se collocate da chi era preposto al controllo.

Nel 2015 c’era stato comunque un precedente, quando l’esercito svedese disinnescò un drone in prossimità dell’impianto, ma non fu possibile determinare da chi provenisse l’attacco.

Che possa essere stata la Nato è dunque molto evidente. Ma la Polonia in tutto questo cosa c’entra?
Qui ci sarebbe da pensare molto, ma da una rapida visione dei fatti sembra che sia stato orchestrato tutto nei tempi giusti per metterla in condizione di proporsi quale nuovo antagonista della Russia, scelta e socialmente “ingegnerizzata” dalle élite. Un piano “B” da attivare in caso di sconfitta di Zelensky, o forse addirittura il contrario, con Zelensky a giocare il ruolo di battistrada. Altra coincidenza è che la Polonia, tra gli Stati europei, è quello che ha investito di più sull’esercito e il suo ampliamento. Notizia di ieri: il Congresso americano avrebbe stanziato 288 milioni di dollari per rifornire la Polonia di armi e attrezzature modernissime. La concomitante apertura del Baltic Pipe è troppo sporca per passare inosservata, soprattutto ai tedeschi, ai quali era stato promesso che non sarebbe mai stato autorizzato. In cambio di questo, la Germania avrebbe dovuto opporsi all’avvio di Nord Stream 2. Un inganno che costerà caro alla Germania, ma che, tenuto conto di tutto, ci rivelerà – forse – da quale Paese dovremo attenderci il prescelto dalle élite, l’ascesa di un nuovo Führer?




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