Nel periodo compreso tra il 2015 e il 2021 la spesa per la difesa della Serbia è aumentata di circa il 70%, arrivando a toccare quota 1,4 miliardi di dollari all’anno. Giusto per fare qualche esempio, Belgrado ha acquistato droni da combattimento dalla Cina, un sistema di difesa area, vari elicotteri e 30 carri armati dalla Russia, oltre ad un sistema missilistico terra-aria dalla Francia e a dieci jet Mig-29 da Bielorussia e nuovamente Russia.
Il caso più recente, quello che ha riacceso i riflettori sul Paese balcanico, risale allo scorso 9 marzo, quando la Serbia ha ricevuto proprio dalla Cina il sofisticato sistema antiaereo cinese HQ-22, accogliendo all’aeroporto civile Nikola Tesla di Belgrado sei grandi aerei militari cargo inviati da Pechino. La consegna ha allarmato l’Unione europea, preoccupata sia per il possibile accumulo di armi nei Balcani che per il rischio di una possibile e improvvisa escalation in una regione dagli equilibri fragilissimi, per giunta indirettamente scossa dalla guerra in Ucraina.
Scendendo nei dettagli, pare che il governo serbo abbia accolto sei aerei da trasporto Y-20 dell’aeronautica cinese carichi di HQ-22 surface-to-air missile systems da girare in dotazione al proprio esercito. Il Ministero degli Esteri cinese non ha confermato di aver fornito alla Serbia il citato HQ-22, limitandosi a chiarire che i velivoli atterrati a Belgrado sabato scorso trasportavano “attrezzature militari convenzionali“.
Il portavoce del dicastero, Zhao Lijian, ha aggiunto che la missione in terra serba rientrava in un progetto di cooperazione annuale tra i due Paesi. La Cina “auspica che gli organi di stampa non distorcano eccessivamente la natura della collaborazione, che non è rivolta contro terze parti e non ha niente a che vedere con l’attuale situazione” in Ucraina, ha sottolineato lo stesso Zhao. Il portavoce ha poi respinto i dubbi riguardo alla possibilità che la mossa di Pechino possa danneggiare la pace nella regione. “Gli Stati Uniti vendono armi all’Europa e a Taiwan. Gli è mai importato di danneggiare la pace e la stabilità regionale?”, ha tuonato polemicamente il portavoce.
Le reazioni ufficiali alla notizia sono state contrastanti. Il ministro della difesa del Kosovo, Armend Mehaj, ha parlato di “comportamento distruttivo, pericoloso e antioccidentale” nonché di uno “spettacolo disgustoso in un momento in cui Ue, Nato e l’intero mondo dei valori euroatlantici affrontano l’aggressore di tali valori, la Russia e i suoi alleati”. Altri, come il presidente della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, ritengono che non ci siano motivi per preoccuparsi in merito ai recenti acquisti serbi.
All’indomani della guerra che ha distrutto la Jugoslavia negli anni ’90, la capacità militare della Serbia era evaporata come neve al sole. Nel 2014, con l’attacco russo all’Ucraina, Belgrado ha deciso di invertire la rotta ed è tornata ad armarsi. L’intervento di Mosca contro Kiev aveva appena dimostrato al governo serbo che l’era della guerra convenzionale in Europa non era ancora terminata.
Uno stato moderno ha bisogno di un esercito moderno, sostiene il presidente Aleksandar Vucic, fresco di conferma elettorale. Calcolatrice alla mano, considerando la spesa per la difesa in percentuale del pil la Serbia supera Albania, Bosnia, Montenegro, Kosovo e Macedonia del Nord messe insieme. Supera pure la Croazia, che sta acquistando jet francesi per ripristinare la sua capacità aerea quasi inesistente.
Se la Serbia stesse semplicemente modernizzando le sue forze armate, ha sottolineato l’Economist, a nessuno imporrerebbe più di tanto. È il contesto che fa risuonare gli allarmi, visto che in Ucraina è scoppiata la guerra, la Bosnia è stata recentemente attraversata da subbugli politici e i tabloid serbi proclamano in continuo che una guerra con gli albanesi del Kosovo o con i croati sarebbe imminente. Come se non bastasse, i nazionalisti serbi, compresi alcuni ministri e alti funzionari, hanno spesso parlato della creazione di un “mondo serbo”, che molti in Kosovo, Montenegro e Bosnia temono sia un tentativo per riferirsi alla nascita di una “Grande Serbia” che potrebbe inghiottirli. Vucic parla di “propaganda” e sostiene che tutti i vicini della Serbia sanno che il riarmo “non è contro di loro”.
Quanto sono realistici gli allarmi derivanti dal riarmo serbo? La sensazione è che tutto questo abbia un mero significato politico. Gli accordi sulle armi potrebbero servire a impressionare i sostenitori di Vucic nel tentativo, da parte dello stesso presidente, di continuare a mantenere elevati consensi e tenere, allo stesso tempo, in grande considerazione le forze armate.
La Serbia, infatti, è circondata dalla Nato, che di fatto protegge i piccoli vicini di Belgrado. In un simile contesto è altamente improbabile che i serbi possano cimentarsi in azioni militari. L’unico dubbio dell’Occidente è che l’armamento della Serbia, foraggiato per lo più da Russia e Cina, possa spingere il Paese balcanico verso un’altra guerra (credendo di avere le spalle coperte dall’asse Mosca-Pechino), soprattutto contro la sua ex provincia del Kosovo che ha proclamato l’indipendenza nel 2008. Ricordiamo che Serbia, Russia e Cina non riconoscono lo stato del Kosovo, al contrario degli Stati Uniti e della maggior parte dei Paesi occidentali.
“Stiamo rafforzando il nostro esercito per scoraggiare qualsiasi aggressore, non abbiamo intenzione di condurre alcun conflitto”, dichiarava due anni fa Vucic al termine di un’esercitazione militare denominata Cooperation 2020. Un’esercitazione durante la quale, non a caso, sono stati testati jet, elicotteri da combattimento e carri armati di fabbricazione russa e droni cinesi.
Articolo di InsideOver